2022 – earMusic
Parto col presupposto, che ci sono band che hanno segnato profondamente il mio percorso musicale, più di moltissime altre. Sicuramente, gli Skid Row fanno parte di questa categoria. Una band che ho profondamente amato, fin dalla pubblicazione del primo lavoro omonimo, “Skid Row“, un assoluto caposaldo per tutti coloro-come me- che amano le emozioni perverse ed intense che solo uno “street-sleaze rock” suonato bene e con una voce stratosferica sa dare. Purtroppo come tutte le storie belle, a volte durano poco.
La controversa separazione col loro cantante Sebastian Bach, dopo la realizzazione dell’equivoco “Subhuman Race“, cd che aveva assai snaturato la band, ormai diventata un’accozzaglia di suoni tra Pantera e Dream Theater, aveva dato sicuramente un duro colpo. Hanno provato a risollevarsi con vari cantanti, Johnny Solinger (rest in peace Cowboy), il cantante dalla voce cristallina Tony Harnell (leader dei TNT) ed assolutamente non amalgamato e soprattutto ZPHeart (ultimo cantante della band fino al 2022). Quest’ultimo arrivava da una band che centrava con gli Skid Row come una ragazza vergine sul set di un film con Rocco Siffredi, ma tra alti e bassi, aveva portato avanti con Scotti, Rachel e Dave la leggenda della band, seppure in spazi ampiamente ridotti (dal vivo) rispetto al passato.
Anche Rob Affuso, potente batterista, è ormai fuori dalla band da una vita e si è persino unito a Sebastian Bach in un tour di celebrazione di “Slave to the Grind”. Ma alla fine, hanno fatto centro?
Per me, onestamente no! Non me ne vogliano i suoi difensori fino alla fine, ma attualmente e spesso Sebastian è il lontano parente di quello che era ai fasti d’oro con gli Skid Row. Spesso svociato, spesso supponente e che dal vivo, sa accendere ancora la luce a corrente alternata.
Ora il futuro degli Skid Row risponde al nome dello svedese Erik Grönwall, che arriva dalla Svezia ed è stato per diversi albums il cantante degli H.E.A.T, band svedese molto tecnica e carica, che molti definiscono degna erede degli Europe e con una stola di fans affezionatissimi (anche nel nostro paese). La storia di Erik è finita da tempo, visto che una forma grave di leucemia linfoblastica nel 2021, l’aveva costretto ad abbandonare la band. Erik è anche altresì’ noto, per la sua partecipazione ad un talent show svedese, dove davvero fece faville.
Ma torniamo a questi Skid Row. Cifre considerevoli sono state offerte da promoter e casa discografica per rimettere insieme i cocci degli Skid Row e riappacificare Bolan e Bach, i due principali contendenti.
Lavorare insieme per una band non è soltanto portare a casa il cachet, fare uno spettacolo insieme, ma è anche questione di alchimia tra i componenti.
Bolan (ma anche gli altri) non sopportano più Bach e tutte le sue prepotenze del passato e con questo lavoro, dimostrano che sono una vera e propria GANG. I primi singoli da questo lavoro avevano lasciato ben sperare, come la copertina dove figurano di spalle,tutti con un giubbotto di pelle e con la scritta di questo lavoro.
Dieci pezzi, che fin dalla prime note dell’opener “Hell or High Water“, ti riportano al 1989 e quando uscì “Skid Row”. Le urla di Erik, le ritmiche vincenti della band e dal drumming selvaggio e potente di Rob Hammersmith, ti stendono senza alcuna fatica e resistenza. Persino in “Hell or High Water“, emergono ad un certo punto, richiami non troppo velati alla controversa “Eileen “del 1995 di “Subhuman Race”, ma è solo un déjà-vu’ e tornano subito a viaggiare come un caterpillar.
La title track inizia con un certo richiamo a “Midnight/Tornado” e con un urlo davvero rock n’roll di Erik. Un bel midtempo, con un ritornello assolutamente vincente che ti si attacca addosso come una cimice in questo ancora assai caldo mese di Ottobre. Non puoi battere che il piede al tempo e cantare a squarciagola, il tutto.
Molti mi conoscono per essere il fan n. 1 in Italia dei loro grandi amiconi (ai tempi) Guns N’ Roses e quando ho ascoltato “Not Dead Yet“, sono davvero rimasto a bocca aperta, visto che è un pezzo che potrebbe stare tranquillamente su “Appetite for Destruction”. Manco tre minuti di orgasmo sonoro. Troppo poco. E’ stato breve ma intenso. Tutto molto bello, compreso il duello di chitarre tra Snake e Scott, il cambio di tempo della premiata coppia Rachel e Rob e le ottave che riesce a toccare Erik, senza nessun problema.
“Time Bomb” è l’attuale nuovo singolo e già ha un titolo che non deve deludere, visto che l’associerò sempre alla fantastica e carichissima canzone dei Rancid. Un mid tempo che ricorda alcune cose dei Black Sabbath agli inizi e che anche in questa canzone non lascia proprio delusi. Tutto molto potente e col basso slappato di Rachel, che domina e impreziosisce il tutto. E’ un pezzo che ha un groove pazzesco e che in qualche frangente va a toccare territori A.O.R., senza risultare troppo zuccherato come alcune produzioni del genere.
“Resurrected” è un pezzo dal sound tipicamente old Skid Row. Mi è venuta in mente “The Threat”, ma senza mai plagiarla. Cori perfetti, ritmiche assassine, tutto suonato da professionisti che si vede che ancora si divertono insieme a suonare insieme. Cazzo, gliene frega a loro, di soldi facili con Sebastian, quando stanno bene insieme e regalano queste perle. Bach è ormai incasinato dal punto di vista musicale e sperimenta diverse cose (anche con l’aiuto in studio di ospiti prestigiosi), ma riesce a conquistarti solo in parte.
Gli Skids con Erik hanno invece regalato uno dei dischi più belli e coerenti dell’anno. Non venderanno più’ milioni di copie come nel loro glorioso passato, ma si rimane decisamente a bocca aperta e con la voglia di ascoltarlo in continuazione questo “The Gang’s All Here“.
L’andatura del lavoro non cala di un centimetro con “Nowhere Fast“, pezzo con la batteria di Rob Hammersmith, davvero protagonista e bello potente. Gli assoli di Snake e Hill sono ben strutturati e le linee vocali armoniche di Erik davvero potenti.
“When The Lights Come On” è invece un mid tempo sulla falsariga di pezzi storici come “Psycho Love” ed è dominato dal basso selvaggio di Bolan e dalle linee vocali di Gronwall e dai cori della band. Anche questo un pezzo assai riuscito, direi.
“Tear it Down” è sicuramente un pezzo che dimostra la perfetta compatibilità tra Erik e il resto della band.
Nessuno -onestamente- dei precedenti cantanti (dopo Bach), aveva lontanamente sfiorato questo perfetto grado di amalgama e complicità con gli altri tre storici componenti della band.
Si divertono come ragazzini insieme ed è palese. Sembrano rinati e con un “occhio della tigre” nuovamente riapparso nelle loro pupille.
Possono anche permettersi di osare un pezzo lento ed intenso come “October’s Song“. Un pezzo ,che supera di poco i sette minuti, che non è esattamente una power ballad ma che riesce ad ipnotizzarti per tutta la durata. Il classico pezzo che fondamentalmente non centra nulla con tutto l’album e che probabilmente nelle loro menti è quello che magari tengono di più. Una scommessa ed un rischio, ampiamente vinte. A livello compositivo, davvero compatti e dopo i 3.20 minuti, c’è un cambio di tempo, che ti stende senza nessun problema.
Chiude il lavoro, “World’s On Fire“, pezzo granitico e molto potente, in cui i cinque musicisti si sfidano a duello, tirando fuori il meglio del loro background e potenziale, per un risultato che non fa calare di un centimetro l’asticella qualitativa di questo lavoro.
La band non si è certamente clonata, ma ha saputo ripartire da quello lasciato in sospeso da moltissimi anni e con risultati a volte controversi o a volte abbastanza soddisfacenti con altri cantanti.
Non vedo l’ora di assistere ad un futuro ritorno della band in Italia.
Mauro Brebbia.
Tracklist:
01. Hell Or High Water
02. The Gang’s All Here
03. Not Dead Yet
04. Time Bomb
05. Resurrected
06. Nowhere Fast
07. When The Lights Come On
08. Tear It Down
09. October’s Song
10. World’s On Fire
Line-up:
Erik Grönwall – voce
Rachel Bolan – basso
Dave ‘The Snake’ Sabo – chitarra, cori
Scotti Hill – chitarra, cori
Rob Hammersmith – batteria
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