a cura di Michele Matterelli
Virgin Records –  settembre 2023

L’avevamo lasciato due anni fa, con “The future bites”, imperniato su elettronica, atmosfere rarefatte e suoni eighities.

Disco, quest’ultimo, che per molti suoi estimatori è stato la pietra dello scandalo definitiva, compimento decisivo della “deriva pop” iniziata con “To the Bones” (bellissimo, tra l’altro).

Ma Steven Wilson è un caleidoscopio vivente, e il suo sguardo sulla Musica ha da sempre spaziato su tantissimi generi, stili ed influenze; la sua ricerca non si è mai fermata ad un solo genere, e tra le sue priorità c’è sempre stato il desiderio di far si che ogni album nuovo non suonasse mai come il precedente.

Artista incredibilmente prolifico, che da sempre ha espresso il suo amore per la musica tramite tantissimi progetti (Porcupine Tree su tutti, ma anche No Man, Blackfield, Bass Communion, I.E.M., Storm Corrosion), per non parlare del suo lavoro di produttore ed ingegnere del suono, che ha recentemente dato nuovo lustro a capolavori prog e non. Conduce un podcast su Spotify in compagnia del suo compare (nei No – man) Tim Bowness in cui analizzano e discutono di musica decade per decade. Infine “Intrigue”, sua recente bellissima raccolta di ben 58 brani provenienti dal periodo ’79 – ’89.

Questa lunga premessa è necessaria per farci capire chi sia Steven Wilson, e per capire meglio “The Harmony Codex” che è, di fatto, anche una magnifica, debordante, stupefacente summa di tutte le influenze che da sempre lo hanno plasmato come artista.

Si stupiranno, i detrattori che lo avevano già dato per “spacciato” ai loro occhi, perché in questo disco c’è talmente tanto amore per la Musica, talmente tanta inventiva e talmente tanta cura per suoni, arrangiamenti e melodie da lasciarci spesso a bocca aperta.

Intendiamoci, “The Harmony Codex” non è un disco “facile” e immediato, va assimilato, ascoltato più e più volte, bisogna perdersi nelle sue atmosfere, nelle lunghe suite di 10 minuti così come nei brani più “canonici”. C’è tanto, tantissimo da apprezzare, in questo lungo viaggio di più di un’ora.

Stupisce il fatto che, nonostante i brani si differenzino anche tanto l’uno dall’altro (basti pensare a quanto profondamente diversi l’uno dall’altro siano l’opener “Inclination” e la Floydiana, bellissima “What Life Brings”), vi siano nel disco una coerenza ed una coesione di fondo che lo rendono un’opera incredibilmente a fuoco; sicuramente ha giovato il tempo che Wilson si è preso per mettere assieme i pezzi (la gestazione del disco viene dal periodo dei lockdown), radunare musicisti e collaboratori di primissimo ordine, su tutti Adam Holzman (tastiere) e Craig Blundell e Pat Mastellotto dei King Crimson (batteria), ma anche la divina, talentuosissima Ninet Tayeb, che da sempre lo affianca in molti brani della sua produzione solista.

The Harmony Codex” si apre con atmosfere elettroniche, quasi industrial, vagamente esotiche, nella evocativa “Inclination”, per poi virare in territori più conosciuti con la successiva “What life brings”, che ci porta in zona Porcupine Tree più melodici (un bellissimo assolo Gilmouriano a metà canzone). “Economies of scale”, forse la più straniante nel lotto delle prime 4 canzoni presentate prima del lancio del disco, è un mid-tempo incastonato su un loop elettronico con sapori vagamente trip-hop. Ma il disco cambia ancora pelle nella successiva, monumentale, caleidoscopica “Impossible tightrope”, un monolite di 10 minuti che parte come una cavalcata prog, si adagia un attimo su un tappeto ambient, per poi ripartire in un climax epico da pelle d’oca e successivamente rituffarsi nel progressive con un bruciante assolo di tastiera: dieci minuti di pura inventiva e arrangiamenti meravigliosi. La successiva “Rock bottom” è tutta della meravigliosa Ninet Tayeb, che con la sua splendida voce roca e potente pennella di magia una ballata dai sapori nineties, accompagnata dalla voce di Steven Wilson ( certo non siamo dalle parti di “Routine” da “Hand.Cannot.Erase” e “Pariah” del successivo “To the bone”, ma si viaggia davvero su livelli altrettanto elevati).

Beautiful Scarecrow” e le sue atmosfere oscure richiamano il Wilson di “Insurgentes”, mentre la title track è un viaggio ambient strumentale di 9 minuti e oltre che lascia storditi (in senso buono ovviamente) una volta finito.

I due brani che seguono sono due gemme dalla forma canzone più “canonica”: è un piacere perdersi nelle aperture melodiche di “Time is running out“, tanto quanto è bello esplorare l’oscura giungla di “Actual brutal facts” (con un inedito, inquietante e avvolgente cantato). Sfido, infine, qualsiasi fan del “Wilson prog” a non inchinarsi di fronte alla chiusura dell’album con quella “Staircase” che è più di ogni altro brano summa di quello che è stato questo autore in questi 30 anni (un passaggio in particolare mi ha ricordato “Sentimental” di “Fear of a blank planet” dei Porcupine Tree).

C’è tutto Wilson in questo disco, piu che in ogni altro; c’è tutto il suo amore per la Musica intesa come Arte nel vero senso della parola. Ha recentemente detto che un disco dovrebbe essere ascoltato nel suo insieme, come un’unica opera, un unico viaggio.

Questo concetto è perfettamente espresso “The Harmony Codex”, un diamante che risplende, assieme a “Hand.Cannot.Erase” nella discografia di questo splendido ed enigmatico artista.

TRACKLIST

1 INCLINATION
2 WHAT LIFE BRINGS
3 ECONOMIES OF SCALE
4 IMPOSSIBLE TIGHTROPE
5 ROCK BOTTOM
6 BEAUTIFUL SCARECROW
7 THE HARMONY CODEX
8 TIME IS RUNNING OUT
9 ACTUAL BRUTAL FACTS
10 STAIRCASE

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