In  molti dall’altra parte dell’oceano sognano i grandi festival americani nel deserto della California: termini come “Coachella”, “Burning Man” e “Knotfest” fanno ormai parte del lessico di ogni rocker che si rispetti e piùd’uno ingrassa il porcellino di terracotta sullo scaffale sperando di raggiungere presto la cifra necessaria per volare 6000 miglia e godersi panorama, musica e l’aria delle grandi occasioni. Certo troveranno il deserto, tramonti mozzafiato, palchi pantagruelici, band dai nomi intoccabili, abbigliamento introvabile nel vecchio continente, sputafuoco, acrobati, maschere, pelle e borchie, donne in reggiseno e reggicalze col guinzaglio (si, con guinzaglio e padroni col polso fermo) e tutto il circo che possono, e non, immaginare. A corollario di questa realtà  troveranno anche tante cose che non si aspettano come pagare cifre da mutuo per un biglietto, trovarsi in un posto numerato col seggiolino, vedersi confiscati all’entrata accendini, pacchetti di sigarette aperti, tappi di bottiglia e portafogli con catena. Passato lo sbigottimento li attendono lattine di birra a 16 dollari e fette di pizza (putrida) a 13 dollari, per cui preparatevi a queste cose e godetevi per lo meno lo spettacolo. Da questo punto di vista i festival in Germania, UK o Ungheria con il suo Tziget battono l’America 1000 a 0…

Il KNOTFEST è stato ideato e realizzato dagli Slipknot (come dice il nome) nel 2012 e si ripete ogni anno itinerando di stato in stato, nel 2015 e’ la volta di San Bernardino in pieno deserto della California con temperature estremamente calde di giorno e invernali di notte. Il sito e’ di quelli smodati, un palco maggiore dalla portata di 54.000 persone piùdue palchi “minori” da diverse migliaia di persone; i concerti nei tre palchi si svolgono contemporaneamente rendendo leggermente difficile seguire le proprie band preferite se si esibiscono su palchi diversi, contando che le distanze possono comodamente levigare la suola delle vostre scarpe in un giorno solo. I giorni sono due e io mi precipito abbandonando la costa per guidare i miei 110 km nel primo dei due giorni, il 24 ottobre 2015  dedicandomi al maggiore dei palchi.

CORROSION OF CONFORMITY
E’ la prima delle band che mi guardo e ammetto di essere un po’ impaziente di ascoltare i 4 demoni del North Carolina del gruppo nato nel 1982, periodo d’oro per noi patiti del genere. E’ dal 2014 che non si esibiscono e oggi vedono il ritorno del chitarrista/cantante  Pepper Keenan promettendo anche un disco per la fine di quest’anno (mancano due mesi….). La premessa del 2014 è d’obbligo perchè purtroppo la loro esibizione appare subito un po’ malmessa: non sono affiatati, numerosi errori e imprecisioni che sono dovuti sicuramente a mancanza di tempo dedicata alla sala prove piuttosto che ad una mancanza tecnica, o questo e’ quello che il mio cuore si augura…  Otto canzoni in tutto da “My grain” a “Clean my wounds”; io appena suonano in tour vado a rivederli, son sicuro di trovare un altro tipo di spettacolo.

Setlist:
My Grain – Wiseblood – Heaven’s Not Overflowing – Seven Days -  Paranoid Opioid – Vote With a Bullet – Albatross – Clean My Wounds

TRIVIUM
Nati nel 2000 spiccano il grande salto aprendo il tour mondiale per gli HEAVEN AND HELL (A.K.A. Black Sabbath), pare voluti da Ronnie James Dio in persona (sempre sia lodato). Vogliamo definirli Thrash, Metalcore ? Ma si, se dobbiamo appiccicare etichette a tutti i costi queste possono essere d’uopo. Anche qua parliamo di otto canzoni suonate in 40 minuti; la crudezza e l’impatto sonoro sono notevoli, la tecnica entusiasmante e la presenza scenica degna del palco che stanno calpestando. La loro performance termina con ovviamente con “Heaven and Hell”, che e’ l’unica che ricordo. Non e’ polemica la mia, ma trovo che la moda predominante  sia di sopperire alle idee con la tecnica e la presenza scenica, ammetto di non possedere la discografia completa del gruppo proveniente dalla Florida, ma so cos’è una canzone e le canzoni si ricordano, cosa che non e’ successa nel loro caso. Mi ripropongo comunque di riascoltare buona parte del loro repertorio, se Ronnie li ha scelti deve aver avuto un motivo.

Setlist:
Silence in the Snow – Down from the Sky – Strife – Until the World Goes Cold – Dying in Your Arms – Capsizing The Sea – In Waves – Heaven and Hell

MASTODON
Piùtempo viene dedicato ai Mastodon che possono  esibirsi con ben dieci canzoni, il gioco si fa duro e i duri arrivano a giocare. I quattro di Atlanta mi sono subito piaciuti qualche anno fa quando li sentii per la prima volta e questa e’ la seconda occasione in cui posso vederli sul palco. Qua purtroppo rischio di entrare in polemica con i loro numerosi fans perchè si conferma la mia prima opinione: non sono un gruppo LIVE. Performance scialba, statica, immobile, inconcludente. Lasciamo perdere la tecnica, quella ormai ce l’hanno tutti, è che dal vivo sono accattivanti un pelo sopra la diretta della finale scapoli-ammogliati della citta’ di Novara. La mia vicina di seggiola che un attimo prima si scannava saltando coi Trivium si gira e mi apostrofa con : “Aren’t they boring ??” che per i non anglofoni significa “Non sono noiosi ??”. Non si parla di canzoni, non si parla di tecnica, si parla di manichini  che manco gridano un “fuck you all motherfuckers” per scaldare un po’ i cuori del pubblico. Niente, piùfreddi del cuore della tua ex, piùdella birra a Barcellona, piùdella mia recensione…

Setlist:
Tread Lightly – The Motherload – Chimes at Midnight – High Road – Aqua Dementia – Halloween – Bladecatcher – Black Tongue – Ember City – Blood and Thunder

KORN
Ohibò, arrivano i nomi grossi: per tutto il giorno megaschermi in tutta la struttura trasmettono filmati di ringraziamento e di amore dai Korn per il loro pubblico, la giornata pare sia dedicata a loro piùche agli headliner Judas Priest… Non mi torna il conto perchè si parla di “21 anni insieme” quando i Korn nascono 23 anni fa, forse si riferisco al loro primo tour di rilievo. I Korn sfuggono alle definizioni e possono alla stessa maniera far storcere il naso o gridare di gioia quelli che seguono la musica del diavolo in quanto  decisamente alternativi. Aprono con Blind e il pubblico riesce a coprire cantando il poderoso audio dell’arena, segno di amore, indubbiamente. Che vi spendiate lo stipendio o meno per i loro dischi devo ammettere che non possono lasciarti freddo, poderosi e titanici sono gli aggettivi da usare e comunque, contando la mia anima profondamente prog e dissonante, riesco a comprenderne e ad apprezzarne le contorte progressioni e l’uso di modalità  non convenzionali. Con la canzone Faget mi scappa quasi un gridolino, non mollano mai, martellano come se da questo dipendesse la loro vita.  12 lunghe canzoni si portano via il gruppo Californiano (l’unico della zona oggi) e finalmente mi fanno sentire nello spirito giusto per accogliere la testa di serie.

Setlist:
Blind – Ball Tongue – Need To – Divine – Faget – Shoots and Ladders – Falling Away From Me – Here to Stay – Did My Time – Coming Undone – Freak on a Leash

JUDAS PRIEST
Non mi pare di dover dire nulla sulla genesi di questo gruppo che nasce quando sono nato io e da allora non fa che dare scossoni al nostro pianeta, e piuttosto ruvidi. Cadono i teloni e che sorpresa mi fanno ? Iniziano con “War Pigs” e già  mi immagino nel Valhalla un poderoso pogo tra Dei e Titani con bicchieri colmi di cervogia portati da valchirie  indaffaratissime. E’ la terza o la quarta volta che tributo i Judas dal vivo, forse la prima volta che li ho visti Rob Halford aveva ancora i capelli, ma poco cambia a parte qualcosa della scaletta. Dopo l’album Nostradamus, lavoro alquanto discutibile, minacciarono persino di ritirarsi a vita privata, cosa che fortunatamente non hanno fatto. Al posto della pensione hanno inciso Redeemer of Souls, prodotto che si difende decisamente bene ed ha avuto un notevolissimo successo di vendite. A tenere le fila oltre a Rob e’ il giovane chitarrista Richie Faulkner che ne combina di ogni, un diavolo di tasmania  persino virtuoso che regala assoli funambolici senza farsi troppo pregare. Dopo i brani degli ultimi lavori arrivano obbligatoriamente i classici quali Turbo Lover e Braking the law; la censura, se mai ci fu, cade miseramente e 50.000 persone non fanno che gridare come aquile accompagnando i mastri ferrai inglesi nel loro lavoro di distruzione. Ovviamente Rob rispolvera l’entrata sul palco con l’Harley ed ecco che si continua con Screaming for Vengeance e Hell Bent for Leather, per poi introdurre la mia preferita: You’ve Got Another Thing Comin’. Mentre scappo verso la macchina per non rimanere intrappolato in mezzo a 40.000 auto sento alle mie spalle Painkiller e un sapore dolce in bocca come di granita con panna, anche se in realtà Â  si tratta di sabbia del deserto e sputo di coyote.

Setlist:
Dragonaut – Metal Gods – Victim of Changes – Halls of Valhalla – The Rage – Turbo Lover – Screaming for Vengeance – Breaking the Law – Hell Bent for Leather – The Hellion – Electric Eye – You’ve Got Another Thing Comin’ – Painkiller

 

Folklore...
Folklore…

 

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