Nel contesto del bellissimo Teatro degli Arcimboldi di Milano, tornano in Italia gli incredibili Opeth accompagnati da un ospite d’eccezione, The Vintage Caravan. Per quanto sia veramente strano vedere associato un teatro del genere ad un concerto metal, non c’è forse nessuna band più adatta degli Opeth a ricoprire questo ruolo, in quanto il loro stile estremamente espressivo, poetico ed elegante ha veramente tutte le caratteristiche per poter essere espresso al meglio anche in una tale cornice. Non ha caso, infatti, questo tour degli Opeth è incentrato intorno a location davvero suggestive in tutta Europa tra nuovi teatri modernissimi ed antichi teatri storici (sia al chiuso che all’aperto) come lo dimostra anche la scelta del Teatro Romano di Ostia Antica per la seconda data italiana di questo tour.

Ci accomodiamo nelle eleganti poltrone del parterre del teatro e salgono sul palco i fantastici The Vintage Caravan. La straordinaria band islandese forma ormai una coppia collaudata perfetta con gli Opeth in quanto accompagnano la band svedese un ulteriore volta dopo il grande successo del tour europeo del 2019. Che dire… una pura goduria dal primo all’ultimo secondo del loro set! Penso che non ci sia modo migliore di definire il loro sound come qualcosa di assolutamente avvincente che crea una vera e propria dipendenza. E’ quasi impossibile categorizzare infatti il genere musicale dei Vintage Caravan. Le loro melodie si diffondono su uno spettro musicale che va dall’hard rock al progressive, dal blues rock al psychedelic rock passando per delle tonalità stoner molto pronunciate che vengono però espresse su composizioni estremamente articolate e ritmi decisamente sostenuti. C’è una chitarra ricca di effetti fuzz che genera un suono veramente denso e che viene suonata magistralmente da Oskar Logi Agustsson con qualità sopraffina, accompagnato a meraviglia dalle note estremamente corpose e appaganti del basso di Alexander Örn Numason. Il tutto dettato dalle ritmiche camaleontiche ed avvincenti della batteria di Stefan Ari Stefansson, che per lunghi tratti ricordano lo stile jazz & blues. Che spettacolo! Oskar ha inoltre un voce davvero unica capace di essere totalmente ipnotica e piena di carisma, il che rende il pacchetto dei Vintage Caravan ancor più straordinario.

“Crystallized”, “Reflections” e “Sharp Teeth” sono mio avviso tra i pezzi più belli della carriera della band, dove i virtuosismi musicali giungono al loro apice generando un suono davvero incomparabile. Ma i Vintage Caravan sanno anche scrivere ballad malinconiche che fanno davvero viaggiare la mente come la bellissima “Innerverse” oppure far cantare il pubblico con pezzi dal ritornello estremamente catchy come “On The Run”. Danno veramente la sensazione di esprimere al meglio qualsiasi tipo di melodia in cui si cimentino. Mettiamoci anche il loro stile di gran classe e ci troviamo davvero un pacchetto completo che ha del sensazionale. La loro chiusura di set su “Expand Your Minds” tratto dal loro album del 2014 “Voyage” rappresenta l’apoteosi di una performance stellare che ha catturato l’attenzione e l’entusiasmo di tutto il pubblico presente, che non poteva quindi godere di un opening set migliore per questa serata.

Setlist

Whispers
Crystallized
Reflections
Innerverse
Sharp Teeth
On the Run
Expand Your Minds

Il teatro è ormai stracolmo e si vedono davvero pochissimi posti vuoti, sfiorando quindi il Sold Out per questo concerto che rimarrà davvero memorabile. Si spengono le luci e in un boato d’entusiasmo il pubblico accoglie gli Opeth sulle note di “Demon of the Fall”. Le luci del palco sono davvero state studiate in modo egregio per la performance della band svedese. Non esuberanti ma molto ricercate in dettagli specifici garantendo un effetto minimal davvero suggestivo, coordinate con il ritmo della musica in modo molto accurato. Si nota subito come il pubblico degli Opeth sia principalmente composto da musicisti capaci di apprezzare quindi fino in fondo il talento e il concetto della band di Mikael Akerfeldt. Si notano infatti chitarristi, bassisti e batteristi simulare le note di ogni singolo pezzo della serata. Proseguendo con “Ghost of Perdition” si nota veramente quanto gli Opeth riescano ad elevare il concetto di metal a qualcosa di poetico, una componente molto articolata che può essere trascritta sia dalla lunghezza dei pezzi della band svedese che dagli improvvisi cambi di ritmo che caratterizzano la maggior parte delle loro melodie. In modo altrettanto sbalorditivo, lo switch dagli harsh vocals ai clean vocals di cui è capace Akerfeldt è davvero impressionante. Specialmente nel growl, Mikael dimostra un timbro davvero unico con una componente vocale estremamente corposa ed imponente su tonalità bassissime, il che gli attribuisce una caratteristica davvero cupa ai limiti del macabro, creando un effetto davvero da brividi. Aggiungiamo a questa straordinaria capacità vocale di Mikael il talento alla chitarra di Fredrik Akesson, le melodie psichedeliche del tastierista Joakim Svalberg, la precisione del basso di Martin Mendez e otteniamo un concetto musicale davvero fuori dal comune, con lunghi tratti che ondeggiano tra le melodie rilassanti di ballad e musiche atmosferiche in stile quasi jazz fino ai riff metal più accentuati e aggressivi che uno possa immaginare. Ogni pezzo è davvero intrigante perché per chi non conosce bene i pezzi degli Opeth non sa davvero mai che cosa possa succedere all’interno dei brani da un momento all’altro.

In aggiunta all’indiscusso talento del musicista, Akerfeldt si è dimostrato anche un grandissimo frontman da “one man show” per tutta la serata. Ha interagito con il pubblico ogni 2/3 pezzi facendo varie battute ad ogni ripresa, ricordando anche una chicca come la loro prima performance in Italia nel 1996 con i Cradle Of Filth in cui lo colpì il fatto che il pubblico italiano riusciva letteralmente a “cantare” le melodie dei pezzi della sua band. Akerfeldt scherza quindi con i suoi fan dicendo che il contesto della serata era di aver 4 uomini di mezza età che avrebbero tentato di fare rock insieme ad un ragazzo giovane, presentando quindi il nuovo batterista della band Waltteri Väyrynen (Paradise Lost/Abhorrence/Bodom After Midnight/Bloodbath). Il set degli Opeth scorre in modo estremamente piacevole, pescando singoli da davvero molti album della lunga carriera della band svedese, dall’ultimo in “In Cauda Venenum”, passando per dischi come “My Arms, Your Hearse”, “Blackwater Park”, “Ghost Reveries”, “Heritage”, “Damnation”, “Watershed” e ovviamente l’ormai immancabile “Sorceress”, con il suo omonimo singolo diventato una delle principali hit della band. Proprio dopo “Sorceress”, Akerfeldt si cimenta in un ulteriore simpatico siparietto col pubblico, chiedendo quali pezzi volevamo sentire… e prontamente, gli Opeth si mettono ad ascoltare ogni fan eseguendo passaggi di moltissime richieste come “With the Moor”, “Benighted”, “Face Of Melinda”, “Windowpane”, “Harvest”, “Bleak” e “Master’s Apprentices” ed interrompendo dopo vari secondi ogni pezzo scherzando sul fatto che non si ricordavano più il resto dei brani. Davvero apprezzabile una tale interazione da parte della band. Il concerto si chiude sulla trionfale “Deliverance”, un pezzone di più di 13 minuti che dimostra ancora una volta tutta la creatività degli Opeth.

2 ore di concerto volate in un batter d’occhio, concluse su una standing ovation dell’intero teatro e ovviamente una buona parte del pubblico che ha abbandonato le proprie sedie per venire a godersi l’ultimo pezzo in piedi nei corridoi presenti tra le file di poltrone del parterre, ricreando quindi la classica atmosfera da pit di concerto metal. Classe, talento e un inventiva sopraffina fanno degli Opeth una vera chicca del panorama metal attuale, proponendo sempre materiale originale e ricercato esprimendolo con grande cura e attenzione maniacale per ogni minimo dettaglio.

Setlist

Demon of the Fall
Ghost of Perdition
Hjärtat vet vad handen gör
The Leper Affinity
Reverie/Harlequin Forrest
Nepenthe
Hope Leaves
The Devil’s Orchard
The Lotus Eater

Encore

Sorceress
Deliverance

Si ringrazia Vertigo Hard Sounds

Sfoglia la Gallery a cura di Piero Paravidino

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