2022 – Roadrunners Records

L’attesa per il settimo album degli Slipknot è stata certamente lunga ed a volte estenuante.
Innanzitutto, questo album è da considerarsi l’ultimo lavoro della band dello Iowa, che uscirà per Roadrunners Records e poi le strade-proficue di lunghi successi insieme- saranno destinate a separarsi per sempre.

Nel frattempo il leader della band, il cantante Corey Taylor ha avuto modo di dedicarsi negli ultimi anni, anche alla sua carriera solista e al suo(personalmente splendido) album CMFT (che alla fine è Corey Mother Fuckin’ Taylor), assai diverso dalle sonorità della band e certamente meno metal ma più rock.

Dodici canzoni, compongono questo nuovo attesissimo “The End, So Far”. Un disco certamente spiazzante ed ambizioso allo stesso momento.

L’inizio dell’opener “Adderall” è certamente spiazzante e diverso dai loro standards canonici.
Non si viene aggrediti brutalmente, ma si viene cullati da melodie soavi, che in alcuni frangenti possono rimandarti ad alcune sonorità tipicamente dei Ghost e degli Alice in Chains, mixati insieme in un cocktail di indiscussa letalità. Jim Root ha dichiarato che questo lavoro non ha richiesto grande pre-produzione e non ci sono state prove, ma i vari riffs e le varie parti sono state magistralmente assemblate in studio da Joe Barresi.
“Adderall”, infatti è un pezzo assai lontano anni luce dai loro standards, con quel piano ipotonico in sottofondo e con la voce di Corey che mai si incattivisce (come da canoni Slipknotiani) per tutto il lavoro. C’è anche una leggenda mai confermata che alcuni componenti della band dello Iowa, abbiano registrato dopo “All Hope is Gone“, alcuni pezzi assai lontani dai loro standards e sicuramente l’opener-probabilmente ma non con certezza- può contenerne alcuni spunti.

L’inizio della seconda canzone , “The Dying Song (Time To Sing)“, inizia con una cantilena quasi da “Hit estivo”(ok l’ho sparata) ,poi immediatamente torna sul loro classico stile. Ritmiche assassine, batteria al fulmicotone e grancassa, Corey bello incazzato. L’apporto di Sid Wilson e Craig Jones è assolutamente prezioso e la batteria di Jay Weinberg(figlio d’arte) è sicuramente frutto e lavoro di uno dei migliori batteristi sulla scena.

La terza canzone “The Chapeltown Rat” è stata il primo singolo che ha anticipato il lavoro nel Novembre 2021 e già allora ero rimasto assolutamente convinto dalla loro ennesima dimostrazione di forza. Da segnalare in questo pezzo, anche il basso killer di Alessandro Venturella e gli scratch di Craig Jones. Un pezzo da “wall of death” totale e che probabilmente ai loro concerti, ti farà rischiare l’incolumità fisica. Ventisette anni di carriera e sicuramente questo disco è un ritorno al loro glorioso passato e ci sono pochi compromessi. Tensioni interne, lutti, cambi di formazione. Nulla può scalfire questa band di mascherati, che sembrano uscire da un incubo descritto perfettamente in qualche film horror di King o Romero.

Anche “Yen” abbiamo imparato ad apprezzarla da tempo, visto che è uscita come singolo da qualche tempo. Inizio molto cupo e tetro. La voce narrante di Corey ci accompagna per mano, come se volesse proteggerci dalla visione di qualche scena perversa e macabra. Le chitarre assassine e chirurgiche di Jim Root e Mick Thompson sono paragonabili a continui pugni ai fianchi, che prima o poi ti mandano al tappeto del tutto. Corey riesce a passare da toni dolci a toni davvero incazzati e tetri in un batter d’occhio. Sicuramente un cantante molto versatile, che si è meritato la sua fama nel corso di una lunghissima e rispettata carriera (anche con gli Stone Sour -momentaneamente in stato di hiatus-).

Hivemind” è un altro pezzo che ti spiazza. L’inizio è davvero tetro ed oscuro, poi si trasforma in un massacro sonoro, dominato dai cambi di tempo della batteria di Jay e dalla voce potente di Corey.
Sicuramente questo disco spiazzerà moltissimi. Il ritorno al passato è presente in parte e la sperimentazione è assai personale e a volte rischiosa. Non possono togliersi la maschera in sede live, ma sicuramente ci hanno messo la faccia in sede live.

Alcuni pezzi come “Acidic” sono da pura estasi e standing ovation. Un tributo non troppo velato ai Black Sabbath, con ritmiche oscure e a volte darkeggianti che sembrano uscite da qualche gruppo medio new wave anni ’80. Un pezzo che ti porta in un’altra dimensione, anche senza bisogno di sostanze dopanti.

Da non dimenticare anche la precedente (per numero di traccia ,rispetto ad “Acidic”, “Medicine For The Dead“, dominata dalla versatilità di Taylor. Pezzo che supera di pochi secondi, la lunghezza di sei minuti, dominato da ritmiche molto evocative di chitarra. Tetra e potente nello stesso tempo, con un assolo davvero potente che impreziosisce davvero tutto. Qualche atmosfera mista a musica doom e nell’oscurità mi è venuta in mente anche qualche composizione alla Ravi Shankar, musica indiana classica.
Non hanno mai avuto vergogna di mettersi in discussione. Spesso, se ne sono fregati di tutti e devo dire che onestamente questo lavoro richiederà qualche ascolto ,prima di essere amato, ignorato, sopportato, gradito od odiato. A seconda dei casi.

H377” è una cantilena simile ad una terrificante ninnananna che ti viene narrata per non farti dormire. Sicuramente il pezzo più tipicamente Corey Taylor di tutto il lavoro. Pezzo che ti prende e ti fa a pezzetti come un puzzle sparso.

Le sperimentali ed oscure “De Sade” e “Finale“, concludono questo lavoro. La prima è davvero granitica, con riffs davvero potenti e con la voce di Taylor che mai si incazza come in altri pezzi ed è più evocativa che altro. Un pezzo che sicuramente dividerà, ma che per il sottoscritto(dopo qualche ascolto) si è rivelato letale.

Finale” conclude il lavoro come l’opener “Adderall”. In modo totalmente evocativo e narrativo. Un pezzo che sono curioso di ascoltare in chiave live e mi chiedo anche se potranno mai eseguirla(nda non ho sottomano le ultime loro setlist).

In sostanza, un lavoro che farà probabilmente discutere, ma che si ascolta senza pregiudizi su cosa si vorrebbe – per forza – da loro, si rivela davvero valido e al passo coi tempi.

Li aspettiamo ancora nel 2023 in Italia, dopo la trionfale data a Villafranca di Verona, qualche mese fa.

 

TRACKLIST:
1. Adderall
2. The Dying Song (Time To Sing)
3. The Chapeltown Rag
4. Yen
5. Hivemind
6. Warranty
7. Medicine For The Dead
8. Acidic
9. Heirloom
10. H377
11. De Sade
12. Finale

Line-up:
Corey Taylor – voce
Jim Root – chitarra
Mick Thomson – chitarra
Alessandro “V-Man” Venturella – basso
Jay Weinberg – alla batteria
Sid Wilson – DJ Turntablism
Craig Jones – tastiera, programmazione dei suoni
Shawn “Clown” Crahan – percussioni
Michael Pfaff  – percussioni

 

Mauro Brebbia
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