Drag City, 2024

Quindi, prima di oggi, non avete mai sentito nominare Ty Segall. Ottimo! Certo, vista la caratura del personaggio, è strano, non posso nasconderlo, ma sappiate che vi invidio con la stessa intensità che riservo a chiunque sia in procinto di scoprire qualcosa che custodisco con gelosa affezione. Purtroppo quel senso di vertigine da primo ascolto, una volta che lo hai speso, non torna più indietro. D’accordo, restano lo stupore e l’entusiasmo, ma si tratta di un altro campionato. Perciò ritenetevi fortunati, state per tuffarvi in un’esperienza che vi porterà ad innamorarvi o a fuggire a gambe levate.

In casi come quello in oggetto, le vie di mezzo sono un superfluo privilegio, riservato esclusivamente ai distratti. È singolare come una rapida occhiata alla biografia del musicista californiano possa già fornire un’idea curiosamente precisa della sua produzione: figlio adottivo, adolescenza problematica e solitaria, smodata passione per il surf, culto per la musica degli Hawkind. A completare il quadro ci pensa una laurea in studi sui media, a seguito della quale si è occupato, brevemente, della produzione di grow box per la coltivazione casalinga della cannabis. A questo punto, qualunque sia la stravaganza musicale che vi sta suonando in testa, sappiate che è quella giusta perché, nell’opulenta discografia di Ty Segall, coabitano tante varianti dell’artista, quanti sono i suoi ascoltatori.

Giunto al quattordicesimo album in 16 anni (senza contare singoli, Ep e collaborazioni sparse) il suo famelico appetito musicale dimostra la stessa incontentabile bulimia di un Frank Zappa, con metà delle fragilità (e son sempre tante) di un Brian Wilson, che colleziona bootleg dei Black Sabbath e si innamora platonicamente dei Cardiacs, dopo un concerto dei Black Flag nel quale la band di Hermosa Beach esegue il White Album insieme a Mark Bolan, Jerry Garcia e Neil Young. Al solo pensiero viene il mal di testa ma, paradossalmente, l’ascolto diretto riesce a curare, istantaneamente, qualsiasi residua sintomatologia.

Three Bells arriva a ben due anni da Hello, Hi stabilendo un vero e proprio record personale in fatto di silenzio radio. Un lasso di tempo completamente assorbito dalla realizzazione dell’album che, non a caso, risulta il più curato e produttivamente compiuto tra quelli pubblicati dal cantautore, almeno fino a pochi minuti fa. Segall, che rappresenta la prova vivente di quanta straripante fantasia possa annidarsi anche tra gli anfratti più misteriosi della mente umana, ci fulmina con un’overdose di 70s, mai nostalgica o paracula, che non ha bisogno di aiuti chimici, essendo già favolosamente corrotta alla fonte. In 60 minuti c’è tutto il tempo per sfogliare ed annusare le pagine di un improbabile atlante delle risse da bar che, con disinvoltura bipolare, passa in rassegna cicatrici, confessioni, bisogno di perdono, scazzi, richieste d’aiuto, delusioni, carezze e tenerezze (diversi sono gli omaggi alla moglie Danée, coautrice in 4 brani) di un nerd dalla sbronza triste, non rassegnato a farsela (e fartela) prendere a male.

Un disegno, realizzato a colpi di rasoio, che lentamente si trasforma in un autoritratto così geniale da sfiorare il patologico.

9/10

Tracklist:

1. The Bell
2. Void
3. I Hear
4. Hi Dee Dee
5. My Best Friend
6. Reflections
7. Move
8. Eggman
9. My Room
10. Watcher
11. Repetition
12. To You
13. Wait
14. Denée
15. What Can We Do

Ty Segall:

Ty Segall
Freedom band

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