L’uomo a cui si deve la fondazione di una leggenda assoluta della musica anni ’70 e non solo, è scomparso a New York nella sera di lunedì 18 gennaio, all’età  di 67 anni. E’ il terzo musicista di alto profilo ad abbandonare la vita terrena in rapida successione, dopo le scioccanti morti -entrambe recentissime- di Ian “Lemmy” Kilmister e David Bowie.

Glenn Frey lega indissolubilmente il proprio nome e la propria fama agli Eagles, autentica istituzione del Rock made in U.S.A., e band ‘million seller’ come poche, pochissime altre nella storia della musica leggera, con oltre 150 milioni di dischi venduti e una popolarità  che travalica senza sforzo alcuno, nè tantomeno voluta forzatura, i confini della musica Pop, per arrivare a rappresentare con rara intensità  tutti i ‘vizi e virtù’ della California degli anni ’70, dalle sontuose ville di Malibu e dai parties del mondano jet-set della ‘plastic people’, la ‘gente di plastica’ tanto invisa al maestro Frank Zappa, alla desolazione e all’inquietudine della vita nella periferia e nei bassifondi di Los Angeles, segnate dall’abuso di droga.

Eagles - Glenn Frey I3

Artista indubbiamente dotato di notevole talento, di cui tuttavia ci è dato di sapere quasi esclusivamente grazie ai capolavori firmati da solo o in coppia con il suo celebre ‘alter ego’ all’interno degli Eagles, Don Henley, considerato che la  produzione solista  è invece piuttosto frammentaria e priva di poche, vere ‘fiammate’ degne di nota (“The Heat Is On”, dalla colonna sonora di “Un Piedipiatti A Beverly Hills”, e “You Belong To The City”, anch’essa colonna sonora della celebre serie televisiva “Miami Vice”), Frey sarà  ricordato, oltre che per le capacità  compositive, per comprovata testardaggine, arroganza, e antipatia, che ne hanno ”“non del tutto in maniera paradossale- fatto uno degli uomini piùrispettati e temuti dagli stessi discografici, nonché in generale, da tutto il music business.
Le mega-risse che portarono al temporaneo scioglimento della band sono attribuibili infatti principalmente alle sue ‘peripezie’ tra un tavolo ricoperto di cocaina e una bottiglia di Jack Daniels, come anche la stipula di alquanto discutibili accordi economici per la tanto sospirata ‘reunion’ degli Eagles nel 1994. Accordi che finiranno per rimpinguare quasi solo ed esclusivamente le già  di per sé non esigue finanze sue e dell’amico/socio in affari Don Henley, minando alla base un sottile equilibrio interno alla band giammai rinfrancatosi, nonostante i quasi 3 lustri trascorsi a ‘distanza di sicurezza’ l’uno dall’altro, dei singoli membri del complesso (celebre in questo senso, il brutale licenziamento di quel fenomenale chitarrista che è Don Felder, nel febbraio 2001).

Meglio, poi, non far menzione delle liti con il produttore degli Eagles del grande successo commerciale di metà  anni ’70, Bill Szymczyk. Liti che costrinsero la band a dilatare quasi all’infinito i tempi (e i costi complessivi di produzione di ben 1 milione di dollari, record assoluto per l’epoca) di realizzazione di “The Long Run” (1979), ultimo album prima del temporaneo scioglimento.

Permangono dunque molte ombre su questo astuto e risoluto musicista, elementi della personalità  di Frey quest’ultimi che passano tuttavia in secondo piano dinanzi ad un’eredità  musicale che difficilmente vanta termini di paragone nella storia del Rock dagli anni ’50 ad oggi. “Take It Easy”, “Desperado”, “One Of These Nights”, “I Can’t Tell You Why”, e naturalmente, l’eterna “Hotel California”, sono ancora oggi preziosissime testimonianze di un modo di fare musica che è strettamente appartenuto ad un’epoca ed una soltanto, tutti capolavori che portano la firma -da solo o come co-autore- di Glenn Frey,  e che nonostante i piùstrenui e sinceri tentativi, non potranno mai piùessere ripetuti.

Un’epoca in cui quattro Aquile spiccarono il volo da Los Angeles in una tiepida giornata del gennaio 1971, per arrivare a volare in alto.

Molto in alto.

The Eagles

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