La band italiana non dá cenni di cedimento e continua a cavalcare l’onda di un successo che li vede protagonisti nel nostro paese e all’estero.
Il gruppo, formatosi a Roma nel 2016, ha incominciato ad assaporare la notorietà partecipando nel 2017 ad X Factor Italia, dove ha ottenuto un secondo posto e un contratto discografico con la Sony Music. Lo stesso anno ha pubblicato l’EP Chosen, l’anno seguente è arrivato il primo album “Il ballo della vita”, la consacrazione a livello nazionale e un tour da tutto esaurito. Nel 2021 è stata la volta di “Teatro d’ira – vol. 1”, che ha riscosso un grande successo e contiene “Zitti e buoni”, brano con il quale hanno trionfato prima al Festival di Sanremo e successivamente all’Eurovision Song Contest. Da lì l’affermazione al di fuori dei nostri confini ed i sold out in giro per il mondo, fino ad arrivare alla pubblicazione dell’album “Rush!” nel 2023. Le stime totali delle vendite si aggirano attorno ai 40 milioni di dischi venduti ed i riconoscimenti ottenuti vanno da un American Music Award ad un MTV Video Music Award, passando per un Billboard Music Award, un MTV Europe Music Award ed una candidatura ai Grammy Award.
Damiano David, Victoria De Angelis, Thomas Raggi ed Ethan Torchio, in pochi anni sono passati da suonare per le strade della città capitolina a calcare i palchi più importanti in giro per il mondo.
Le polemiche attorno a qualsiasi cosa riguardi questi ragazzi e la loro musica sono però state accese fin dai primi successi. Spesso l’accanimento di cui sono bersaglio ha perlopiù origine da noi italiani. Infatti spesso sembriamo cronicamente mal sopportare gli artisti connazionali che ottengono risultati importanti al di fuori del nostro Paese.
Resta sempre valido il concetto che i gusti non sono discutibili e che ogni opinione resta rispettabile, ma tornando alle parole d’incipit, attraverso le quali si è espresso Andrea Frazzetta per il New York Times, torno a pormi e a porvi la domanda: sono l’ultima rock band?
Di certo le sonorità hanno perlomeno un’attitudine rock, gli abiti di scena ripercorrono un po’ quel glam che ci riporta alla mente gruppi del passato, i testi sono spesso provocatori, come lo sono alcuni atteggiamenti sul palco, a prescindere dal fatto che siano più o meno trasgressivi o che possano essere studiati a tavolino oppure no.
Ricordo protagonisti della storia del rock molto preparati tecnicamente ed altri più criticabili sotto questo aspetto, che però hanno ottenuto il loro meritato successo grazie ad altre virtù, ma tralasciando l’aspetto tecnico che non voglio approfondire in questo articolo, nel quale mi interessa di più ragionare sull’attitudine, mi interrogo su quali possano essere nell’immaginario comune i parametri per giudicare una rock band meritevole di venir definita tale.
Quello che balza all’occhio quando si guarda all’universo Maneskin è che, attorno a questi quattro ragazzi che suonano, si muove un’imponente macchina organizzativa, certamente più affine magari alle grandi star del pop. Tendono a raggiungere una precisione, un controllo, un’organizzazione, che difficilmente si sposano con l’idea di rocker ribelli ed ingestibili che hanno accompagnato le generazioni precedenti. Spesso sembra dover tutto rispettare un copione che il caro e vecchio rock’n’roll non prevedeva. È anche vero che il mondo va avanti e che non siamo più negli anni settanta. E poi la musica? Quella non abbiamo detto prima che ha sonorità rock? Allora cosa conta di più?
E ancora, in un panorama mainstream che propone sempre meno realtà emergenti che si approcciano alla musica rock, i Maneskin, corrono veramente il rischio di essere il canto del cigno di questo genere?
Non voglio essere io ad emettere giudizi e non mi sento di avere la verità in tasca. Mi piace lasciarvi con le vostre idee e le vostre convinzioni. Dopo tutto, il mondo è bello perché è vario, soprattutto quello rock!
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